Quali Cause Portarono alla Caduta di Roma?

Ricostruzione di Roma in età imperiale

Oggi cercheremo di rispondere ad uno dei quesiti più interessanti, ma complicati della storia e che da secoli appassiona gli studiosi, ossia quali cause portarono alla caduta di Roma? Partiamo dal presupposto che quando un impero esteso, florido, glorioso, amato, ammirato e temuto come quello romano cade, sebbene la sua eredità culturale e giuridica sia rimasta viva nei regni romano barbarici e nei regni post romani, arrivando fino a noi, è per più ragioni: politiche, geopolitiche, economiche, sociali ed in fine sfociano anche in una crisi morale e di decadentismo generale. Alcuni studiosi fanno partire l’inizio della crisi a partire dalla peste antonina e dal mal governo di Commodo. Tuttavia, Settimio Severo che divenne imperatore l’anno dopo l’assassinio di Commodo, ossia nel 193 d.C., porterà l’Impero alla sua massima espansione. Certo, le sue campagne furono molto costose, specialmente in Britannia, dove il confine fu riportato lungo il vallo di Antonino Pio, più a Nord di quello di Adriano, ma abbondonato nuovamente circa vent’anni dopo. Non solo, proprio con Settimio Severo l'impero cambiò: l'imperatore ricorse maggiormente ai soldati di origine provinciale e permettendoli perfino di entrare nelle truppe pretoriane, fino a quel momento riservate agli italici, ma d'altronde lui stesso era un provinciale. Per bilanciare il potere dei pretoriani però, permise ad una legione di stanziarsi ad Albano e permettendo ai legionari lì di stanza di sposarsi e forse abitare, se sposati, fuori dal campo. Era un inizio di barbarizazione dell'esercito. Settimio Severo decise anche di spezzare le province in province minori, così che i governatori locali avessero meno potere. Infine, volle una rigorosa distinzione fra il patrimonio dell'imperatore, "fisco" e quello della sua casa privata, così da arricchire e di conseguenza di accrescere la potenza della sua casata, gettando il seme di uno dei maggiori problemi del futuro impero, ossia l'opulenza delle famiglie aristocratiche, in primis quella imperiale. Nondimeno, suo figlio e successore Caracalla donò alla città eterna le meravigliose ed imponenti terme che portano il suo nome, segno che le finanze, la cultura e le arti erano ancora in ottime condizioni. Anche il diritto romano in quegli anni scoprì una nuova fioritura con giuristi del calibro di Ulpiano, Modestino e Papiniano, quest’ultimo fatto uccidere proprio da Caracalla perché si rifiutava di giustificare il fraticidio compiuto ai danni del fratello Geta. A mio avviso, la prima causa che porterà alla caduta di Roma affonda le sue radici nel III secolo, ossia durante l’anarchia militare, dove il continuo susseguirsi di imperatori e tentativi di usurpazioni che a volte si concretizzarono, portarono ad una scarsa stabilità a livello centrale, sebbene la burocrazia amministrativa rimase estremamente efficiente. Infatti, gli usurpatori nell'antica Roma furono una presenza costante, specialmente a partire dalla morte di Alessandro Severo nel 235 fino alla presa del potere di Diocleziano, quando ve ne furono circa cinquanta. Il dato stupisce ancor dio più se confrontato al fatto che nei primi due secoli furono appena cinque e solo uno quando al potere ci furono i membri della gens Giulio-Claudia. Le guerre del III secolo fecero diminuire gli scambi commerciali e culturali nello stato romano e ciò provocherà la nascita di movimenti autonomisti, che portarono alla nascita dell’Impero delle Gallia e del Regno di Palmira. Sarà Aureliano nel 273 a riportare unità nell’impero. La crisi del III venne parzialmente superata da Diocleziano e le sue riforme, sia in campo amministrativo che militare. Introdusse la tetrarchia, ossia un governo di quattro, che prevedeva 2 augusti, oramai con potere “assoluto”, si parla infatti di dominato e non più principato, uno ad Occidente ed uno ad Oriente, coadiuvati da due Cesari, che avrebbero poi preso il loro posto. Tale forma di governo, pensata per evitare vuoti di poteri in un impero vastissimo, entrò in crisi quando Costantino e Massenzio insorsero, causando l’ennesima sanguinosa guerra civile. Costantino ne uscì vincitore e la situazione migliorò non poco, grazie al buon governo e alla ritrovata stabilità. Infatti Costantino regnò per più di trent'anni, dal 306 al 337 e l'Impero ebbe una nuova ripresa sociale, economica e culturale. La dinastia costantiniana regnerà saldamente fino alla morte di Giuliano detto l’Apostata, ultimo membro della dinastia e definito da alcuni poeti come l’ultimo eroe greco, morto nel 363 d.C. in battaglia contro i persiani, mentre cercava di espandere i confini dell’impero, sarà l’ultimo imperatore a tentare tale impresa. Con la sua morte e dopo il breve regno di Gioviano, raggiunse la porpora Valentiniano I, a cui succederà prima Graziano e poi Teodosio che sposerà la sorella di quest’ultimo. Alla morte di Teodosio gli successero al trono Arcadio in Oriente ed Onorio ad Occidente, proprio durante il suo regnò, 393 - 423, furono ben 9 gli aspiranti imperatori, dieci se si considera Giovanni, il quale regnò durante l'interregno fra Onorio e il nipote, figlio della celebre ed energica sorella Galla Placidia, Valentiniano III. Il regno di Onorio coincide con gli ultimi anni in cui l'Impero fu forte, ma le devastazioni che subì per le guerre contro i barbari e per le guerre civili, lo indebolirono definitivamente. Negli ultimi cinquant'anni di vita di Roma, la figura dell'Imperatore era alquanto debole e nei fatti, tranne qualche eccezione come Maggioriano e Giulio Nepote, il potere era detenuto dal magister militum, che decideva anche della vita del regnante.

Verso la fine del IV secolo sorse un nuovo problema, ossia il mal governo dei ceti più alti che pensavano solo più ad arricchirsi e a vivere nella lussuria, mettendo in secondo piano il bene di Roma inteso come bene collettivo. Inoltre, iniziò a serpeggiare quell’aria di decadentismo e di paura, causato dalle continue invasioni dei popoli germanici, a volte piccole bande che dopo qualche saccheggio tornavano in patria, altre volte gruppi più consistenti che richiedevano interventi militari proporzionati. Le razzie e le campagne militare all’interno dei confini impoverivano ancor di più lo stato, poiché causavano carestie e pandemie che diminuivano le entrate fiscali, impoverendo maggiormente lo stato che poteva pagare meno i soldati, favorendo le usurpazioni o i tradimenti. Tutto ciò, rendeva quindi molto difficile organizzare campagne militari offensive che richiedevano soldi e tempo. A tutto ciò, si univa un senso di “accerchiamento” fra Germanici e Impero persiano. A tal proposito, Namaziano, considerato l’ultimo poeta romano classico, nonchè politico romano, nella sua opera il “de redito suo” esprime proprio il disagio del popolo e lo sfrenato lusso e menefreghismo dei potenti, oltre ad un decadentismo della cultura che si riflette nell’incuria di città e strade. Il disagio era causato da più motivazioni, alcune anche poco note, come la mala giustizia, in quanto i processi erano lenti e costosi, senza contare il fatto che spesso i giudici e i funzionari pubblici erano corrotti o facilmente corruttibili. A ciò si aggiunse l'obbligo per gli eredi di svolgere lo stesso lavoro del padre. Per esempio, a partire dal IV secolo i figli dei veterani erano obbligati ad entrare nell'esercito. Lo stesso valeva per altre mansioni, come quella degli operai, dei minatori e dei funzionari governativi. Quindi, da qui si evince come non solo i servi della gleba erano vincolati al loro lavoro, sebbene questi nella pratica avessero gli stessi diritti degli schiavi, tanto che Giustiniano equiparò le due categorie. Infine, come se non bastasse i ceti meno abbienti, si facevano carico della quasi totalità del gettito fiscale dell'Impero, tanto che in alcune regioni il popolo sperava che i barbari andassero a liberarli dal gioco dei potenti. Al contrario gli aristocratici, i medici, gli avvocati, gli insegnanti, i soldati e altre categorie più agiate, godevano dell'immunità fiscale. Ciò, complicò ulteriormente le cose, visto che la classe media contadine, nel tentativo di sfuggire all'opprimente pressione fiscale, si rimetteva al servizio dei grandi proprietari terrieri, ma così facendo aggravavano la situazione economica dell'Impero, che riceveva meno entrare.

Dopo la breve parentesi di Gioviano, venne nominato Imperatore Valentiniano I, fondatore della dinastia che governerà Roma, anche attraverso l’unione con quella di Teodosio, fino al 455 con Valentiniano III e Costantinopoli fino al 457 con Marciano. Valentiniano I, come Diocleziano prima di lui, capì che l’Impero era troppo esteso per essere governato da un uomo solo, poiché essendo così ampio, favoriva il rischio di una ribellione in qualche regione dell’Impero, magari fomentata da un generale ambizioso. Per tale ragione decise scegliere il fratello Valente come Imperatore dell’Impero d’Oriente. Valentiniano I, tuttavia, morì relativamente giovane, durante il suo dodicesimo anno di regno e ciò non fu positivo per Roma e non perché il suo successore non fu un bravo sovrano, anzi Graziano fu forse meglio del padre, ma perché Valente incominciò forse a sentirsi onnipotente e voglioso di dimostrare che era abile quanto il fratello, poiché per quanto si sforzasse il popolo non vedeva nulla in lui, a differenza del fratello. Quanto appena detto sarà importante per il disastro di Adrianopoli, che affronteremo fra poco. Infatti, l’evento che si rivelerà più difficile da risolvere e a cui nessun imperatore riuscirà più a far fronte, anche se inizialmente non si avvertì così problematico e che provocherà una lenta e continua agonia, fino alla definitiva caduta dell’Impero, avvenuta con l’assassinio di Giulio Nepote nel 480, incomincia nel 376 d.C. Quell’anno i Goti, incalzati dagli Unni, inviarono la richiesta a Valente di poter attraversare il Danubio ed in cambio si sarebbero sottomessi a lui. Valente davanti a questa richiesta accettò di buon grado, nonostante pochi anni prima avesse condotto e vinto una guerra contro di loro, rei di aver spesso sconfinato all’interno dei confini dello stato e per aver appoggiato l’usurpatore Procopio, per poi stringere una pace onorevole. La pace nel corso del IV secolo era vista come un qualcosa di positivo e da perseguire, specialmente all’interno dei salotti colti di Costantinopoli. Ciò perchè Roma non doveva essere un padrone, ma bensì un padre benevolo e non solo verso i suoi cittadini, ma anche verso gli altri popoli, con l’obbiettivo di far diventare i barbari cittadini, così come aveva sempre fatto d’altronde. Infatti, come saprete, Roma fu sempre un Impero che fondava parte della sua fortuna nell’integrazione dei popoli sottomessi, che dovevano uniformarsi ai suoi costumi e delle sue leggi, che però solitamente accettavano di buon grado. Valente, perciò, accettò la richiesta dei Goti, poiché all’Impero servivano sempre nuove braccia nell’agricoltura, specialmente dopo un secolo e mezzo di guerre civili, pandemie, carestie e invasioni barbariche che lasciarono intere regioni spopolate. Tuttavia, spesso si pensa che fu la mancanza di schiavi a portare Roma al collasso, ma non è così, dal momento che in quei decenni vi furono una quantità esorbitante di schiavi. Infatti, dopo le guerre, specialmente quando si trattava di spedizioni punitive nella Germania, i numeri di schiavi che giungevano nell’Impero erano enormi. In più si aggiungeva la vendita dei bambini da parte delle famiglie che non potevano permettersi di tenerli, sebbene avrebbero potuto ricomprarli in futuro. Alcuni potranno obiettare che essi venivano spesso affrancati, ma era una prassi molto in voga fin dall’età repubblicana, tanto che spinsero Augusto a promulgare delle leggi che ne limitarono le possibilità. In ogni caso, i Goti oltre che servire come agricoltori erano utilissimi anche nell’esercito, come sapeva bene Valente, poiché oltre ad essere già addestrati, accettavano di buon grado di combattere, a differenza dei cittadini romani, sempre meno intenzionati a svolgere questa carriera, in quanto la carriera militare non era più un ascensore sociale come fu in passato, oltre al non offrire più grandi possibilità di guadagni, poiché ormai parte del bottino era in annona e le possibilità di arricchirsi con i bottini di guerra più scarse. Sebbene non ai livelli del V secolo, già ora molti proprietari terrieri corrompevano gli ufficiali dediti al reclutamento per evitare di perdere la loro manodopera e ciò fece sì che le legioni, maggiormente in Oriente, che rispetto a quelle dell’Alto Impero avevano solo più il nome, non avessero mai i ranghi completi, così come la cavalleria, ma in ogni caso erano corpi molto ben addestrati, fedeli e rigorosi. Va anche detto che gli imperatori e i generali erano ben felici di mandare i barbari a combattere in Germania o in Persia, così da prendere due piccioni con una fava, poiché si sfoltiva l’esercito di barbari e dall’altro canto si indeboliva il nemico, ma senza perdere cittadini. Tuttavia, per una serie di cause che adesso vedremo, la scelta di Valente fu tragica. La traversata del Danubio che fu organizzata bene, fu gestita molto male, ma non per mancanza di preparazioni dei soldati o degli ufficiali militari, ma bensì per la corruzione dei magistrati locali che crearono insoddisfazione, insofferenza e paura, sia da parte dei goti che dei Romani di Tracia. Infatti, da una parte c’erano i Goti che rimasero per settimane accampati lungo il Danubio senza che venissero trasferiti nelle terre a loro assegnate e con razioni alimentari scarse, dall’altra i cittadini che temevano un conflitto, ciò che inevitabilmente, date le premesse, accadde. La rivolta provocò la sconfitta dell’esercito che per primo affrontò i Goti, forse sottovalutarono il nemico, ma in ogni caso sembrava un problema controllabile, anche se i Goti razziarono e saccheggiarono in modo violento il territorio della Tracia. Un secondo esercito si scontrò con i Goti, ma senza vincitori né vinti, ma solo il confinamento dei barbari lungo il Danubio che però non durò molto, dato che nell’inverno tra 377 e 378 si riversarono in Tracia. A questo punto, Valente decise di prendere la questione in prima persona e anche grazie ad un generale di nome Sebastiano, molto preparato, ma mal visto dalla corte a causa della sua onestà, che utilizzò la tattica della guerriglia, infliggendo perdite non indifferente ai rivoltosi. Fatto sta che il 9 agosto del 378, Valente stanco di aspettare, volle attaccare in una battaglia campale i Goti comandati da Fritigerno, senza aspettare i rinforzi di Graziano, forse proprio per dimostrare la sua forza. Non si sa se Sebastiano avesse consigliato di aspettare o di attaccare, ma in ogni caso entrambi persero la vita nella battaglia che tutti oggi conosciamo come la disfatta di Adrianopoli, dove due terzi dei Romani morirono. Graziano, dopo questa disfatta, decise di nominare al posto dello zio, un giovane generale che in pochi anni aveva avuto una brillante carriera, ossia Teodosio. Teodosio sarà l’ultimo a regnare su un impero unito, in seguito al probabile assassinio di Graziano. Inizialmente, si ritrovò un Oriente senza quasi più un esercito e che in più era difficile riorganizzare, date le difficoltà nel reclutamento e perciò decise, forse inevitabilmente e ben sapendo che ciò avrebbe potuto provocare gravi conseguenze nel lungo periodo all’Impero, di arrivare ad una pace con i Goti, permettendoli di stanziarsi nei Balcani come foederati, oltre a reclutarne buona parte come mercenari o soldati sotto paga. Tuttavia, tale atto provocherà la conseguenza che l’Impero si ritroverà ad essere difeso da barbari, spesso pure poco romanizzati e non dai cittadini romani e ciò creerà problemi di ordine pubblico, poiché in particolar modo i mercenari, i cui capi arrivavano alle più alte cariche statali, approfittavano della loro posizioni per compiere soprusi, spesso rimasti impuniti per mancanza di alternative, provocando tensioni e rivolte sociali giornaliere contro i germanici, come nel caso della rivolta romana contro i barbari di Stlicone, sebbene lui in realtà fosse romanizzato e fedele alla causa di Roma.

Come alcuni noteranno però, tutto questo si è svolto inizialmente ad Oriente, ma come mai allora è caduto prima l’Occidente? Semplice, dopo qualche decennio in Oriente ne ebbero a sufficienza dei barbari e la loro ostilità li spinse verso l’Occidente di Onorio, un imperatore assorto più nelle sue faccende private che in quelle di stato. A tal proposito, è doveroso citare l'orazione "Sulla regalità" di Sinesio di Cirene che lucidamente ammoniva, nel 399, l'imperatore Arcadio sul permettere ai barbari di entrare nel corpo dell'impero elo esortava a rinunciare all'abitudine di corgiolarsi nel lusso e a stare a contatto con la concretezza. In più l’Occidente offriva più possibilità di saccheggio date le sue grandi ricchezze, nonostante le legioni di Roma erano di più e meglio addestrate, oltre ad essere formate da più cittadini, rispetto a quello d’Oriente. Inoltre, a partire dal 31 dicembre 406, ossia quando il limes renano ghiacciato venne attraversato da molte tribù barbare come Vandali, Burgundi, Suebi, Franchi, l’Impero entrò irrimediabilmente nel caos, dividendosi pure, poiché le Gallie nominarono Costantino III come Imperatore, per meglio difendersi dai barbari. In tutto ciò, si mise in mezzo anche la sfortuna, poiché morì il figlio di Galla Placidia ed Ataulfo, ossia il mezzo romano e mezzo goto che sarebbe stato il successore di Onorio e che avrebbe riunito l’Impero, oltre alla scomparsa improvvisa del valoroso e abile generale Costanzo III. A ciò, si aggiungono altre faide interne, a partire dall’uccisione di Stilicone, alla guerra civile fra Bonifacio e Ezio che provocarono la distruzione dell’ultimo esercito temibile di Roma composto in prevalenza da cittadini. A questo punta Roma fu costretta ad arruolare ulteriori barbari, che ormai costituivano la quasi totalità dei legionari e ciò segnerà inevitabilmente il destino dell’Impero. Certo, ci furono dei tentativi di rilanciare l’Impero, attraverso la riconquista della ricca Africa, il granaio di Roma, che avrebbe potuto segnare una svolta nella storia del mondo, ma purtroppo sia quello ben preparato di Maggioriano nel 461 che quello di Antemio nel 468 fallirono, anche a causa di tradimenti, segnando il destino della città eterna. Ed in ogni caso le spedizioni furono rese possibili dagli ingenti aiuti militare inviati da Costantinopoli, specialmente il secondo. Proprio durante il governo di Maggioriano, vennero promulgate leggi volte a favorire la natalità, in modo da ripopolare la penisola e l’esercito di cittadini romani, ilchè testimonia anche quanto era ormai sentito il problema dei barbari. Tra queste leggi c’era il divieto per le donne sotto i quarant’anni di dedicarsi alla vita spirituale, in modo tale che potessero dedicarsi alla famiglia.

Fonti: Giorgio Ravegnani, La vita quotidiana alla fine del mondo antico, Il Mulino, 2015, Bologna; Rutilio Namaziano, De Redito Suo; Alessandro Barbero, 9 agosto 378 il giorno dei barbari, editore Laterza, edizione illustrata 2022, Città di Castello (PG); Arnaldo Momigliano

 


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