DALL’ANTICHITA’ ALL’EPOCA LONGOBARDA.
L’origine del nome “Italia” è ancora oggi dibattuta; potrebbe riferirsi al nome dato dai greci ad una tribù che abitava la punta meridionale dell’attuale Calabria o potrebbe derivare dal greco "Aithàleia" che sta per “ardente, fumosa” e ben rappresenterebbe il meridione della penisola, in cui si verificano tutt’oggi manifestazioni vulcaniche. Fatto sta che il termine “Italia” iniziò ad affermarsi vero il III secolo a.C., mentre in precedenza venivano usati più termini per indicare alcune la penisola o alcune sue regioni, come Enotria, Esperia ed Ausonia. Invece, la prima volta che il nome comparve su una moneta fu nel I secolo a.C. in occasione della guerra sociale fra Roma ed alcuni popoli soci della Repubblica. Infatti, la lega italica coniò monete, sul modello del denario emesso a Roma, in cui era presente la parola “Italia”. Per i Romani l’Italia divenne nel corso dei secoli la terra patria, sebbene ciò sia avvenuto in seguito ad accordi e lunghe e sanguinose guerre, nondimeno parte della cultura e delle tradizioni degli antichi popoli italici non scomparvero nemmeno durante l’Impero. In ogni caso, Roma portò all’unificazione politica e culturale della penisola italica e lo strumento più efficace per raggiungerla fu di imporre il suo modello di diritto, attraverso cui veniva plasmata la cultura romana. Il momento in cui gli abitanti della penisola vennero equiparati ai cittadini dell’Urbe, fu dopo la già citata guerra sociale, con l’estensione della cittadinanza a tutti i popoli italici, sebbene solo con La Lex Roscia, voluta da Cesare ed emanata nel 49 a.C., venne concesso il Plenum Ius agli abitanti della Gallia Cisalpina. Si completava così l’unificazione dei popoli italici durante l’epoca romana. I cittadini romani in quanto tali godevano di vantaggi nelle imposte ed a differenza degli abitanti delle province, godevano di tutti i diritti politici e potevano arruolarsi nelle legioni. Ovviamente, la caduta dell’impero romano provocò il riemergere dei particolarismi locali, anche se in realtà erano già stati favoriti dalle continue guerre civili, dalle incursioni barbariche e dall’instabilità politica. Infatti, tutto ciò provocò una diminuzione degli scambi economici e culturali che favorirono anche una prima diversificazione, su base regionale, della lingua veicolare del tempo, almeno in Occidente, ossia il latino. Dopo la caduta di Roma si alternarono vari dominatori, a partire da Odoacre che governò la penisola con il titolo di patrizio d’Italia, solo formalmente dipendente da Costantinopoli e successivamente, con lo stesso titolo, Teodorico, re degli Ostrogoti. Con la guerra greco-gotica Giustiniano riportò l’Italia sotto l’influenza diretta dell’Impero d’Oriente, come voleva il suo ambizioso progetto della “Restauratio Imperii”. Tuttavia, poco più di una decina di anni dopo la fine della guerra contro i Goti, per la precisione nel 569, un nuovo popolo germanico: I Longobardi. I Longobardi approfittarono dei problemi interni all’Impero e della stanchezza delle truppe di stanza in Italia per sottomettere in pochi decenni buona parte della penisola. Va detto però, che a differenza di Odoacre e Teodorico, Alboino si mise subito in contrasto con l’Impero e perciò rappresentarono una rottura con il mondo Latino e quindi con la sua millenaria cultura e il suo modo di amministrare il territorio. Non solo, decimò se non eliminò la ricca aristocrazia italica e mise ai margini della società il popololatino. L’integrazione fra i due popoli incominciò solo con Agilulfo, il cui regno va dal 591 a 616, anche grazie al carisma della regina Teodolinda, di credo cristiano cattolico e non di rito ariano come la maggior parte dei Longobardi. I sovrani Longobardi, proprio a partire da Agilulfo incominciarono ad indicarsi come Rex Totius Italiae, sebbene fino a Liutprando ciò era solo formale, dal momento che nei fatti la separazione fra le due stirpi era evidente. Il primo sovrano cattolico che favorì una prima conversione del popolo longobardo e ne cambiò la storia, fu il figlio di Agilulfo e Teodolinda, Adaloaldo. Tuttavia, solo con Liutprando, circa un secolo dopo, dal momento che diventò re nel 712, si ebbe il tentativo da parte del grande sovrano, di unire anche nei fatti i due popoli, favorendo l’integrazione con una serie di interventi, come l’estensione del servizio militare a tutti gli uomini liberi, a seconda delle loro condizioni economiche o il favorire la conclusione di matrimoni misti. Inoltre, a partire proprio dal VIII secolo si assiste al fenomeno di attribuire ai longobardi nomi Latini e ai Latini nomi di derivazione germanica e sono un esempio il re Desiderio o il padre della di lui sposa, Verissimo. Perciò, l’aspirazione a diventare nei fatti “Rex Totius Italiae” spinse Liutprando a scontarsi con il papato, l’Impero e i ducati “ribelli” di Spoleto e Benevento. Nondimeno riuscì a ridurre all’obbedienza i due ducati, si riappacificò con il pontefice e conquistò diverse città dell’Emilia,in particolare Bologna e Osimo nella pentapoli, ma l’attacco e la conquista momentanea di Ravenna, costrinsero il re a stringere un nuovo accordo con il papa Zacaria in cambio di alcune città umbre, in primis Terni. E’ in tal clima politico che partì quella che gli storici chiamano “Rivoluzione italiana”. Infatti, a seguito di una nuova tassa imposta dall’imperatore Leone III ai territori italici, alcune città, come la già menzionata Bologna, si diedero ai Longobardi. La nuova imposizione fiscale provocò il risentimento anche di Gregorio II che sosteneva la necessità di difendere non soltanto Roma, ma tutte le chiese d’Italia che la tassazione bizantina voleva denudare. Risorgeva quindi l’idea d’Italia che era stata dei Romani ed ora era dei Longobardi.
In ogni caso, il grande risultato della politica di Liutprando, a cui non starebbe male il titolo “Il Grande”, fu la “Rinascenza Liutprandea”, ossia il momento di maggior splendore dell’arte longobarda. Infatti, risalgono a questo periodo storico alcuni dei migliori manufatti, dipinti, decorazioni ed edifici dell’epoca longobarda. Ciò fu dovuto al fatto che nei primi decenni dell’VIII secolo, il rifiorire degli scambi commerciali, la maggior mobilità delle persone e delle idee all’interno come all’esterno del regno, permisero all’arte longobarda di fiorire. Tra le più grandi opere a noi giunte possiamo citare la cassetta argentea, in cui sono conservate le reliquie di Sant’Agostino, i plutei di Teodote, il frammento di pluteo con testa di agnello dal palazzo Reale, la lastra con pavone conservata nella chiesa di San Salvatore a Brescia, l'altare del Duca Ratchis, il Battistero di Callisto ed infine il capolavoro architettonico di questa epoca, il cosiddetto Tempietto longobardo, che ancora conserva gran parte della decorazione originale dell'VIII secolo. Non solo, sebbene notevolmente rimaneggiato, anche il palazzo reale di Corteolona risale alla “Rinascenza Liutprandea”, essendo stato costruito nel 729 dallo stesso Liutprando come sua dimora estiva. Molte delle stanze del palazzo erano decorate da marmi e colonne portate direttamente da Roma. Non solo, anche dallato del diritto Liutprando fu un attento legislatore, tant’è che aggiunse numerosi articoli all’editto di Rotari, con l’intento di unire maggiormente i sudditi del regno. A tutto ciò va aggiunto che dopo aver imposto il nipote Gregorio al comando del ducato di Benevento e avendo educato i giovani beneventini a Pavia, il re dava un contributo ulteriore all’agognata unità, attraverso il tentativo non riuscito, di rendere i ducati della Longobardia minor totalmente assoggettati al re e allontanandoli, quindi, dall’alleanza coni Romei. Tuttavia, non essendo riuscito a sottomettere Roma, così come i suoi successori, l’unità non potè compiersi e con la caduta di Pavia ad opera dei Franchi nel 744, durante il regno di Desiderio, un altro re che si impegnò nel tentativo di unire l’Italia sotto la sua corona, terminava il regno longobardo econ esso la possibilità di riunire completamente la penisola. L’Italia ritornerà ad essere un’unica nazione soltanto dopo quel processo storico conosciuto come Risorgimento, terminato nel 1871 con l’annessione dello Stato Pontificio al regno d’Italia ed il successivo spostamento della capitale da Firenze a Roma, ritenuto inevitabile da Cavour per l’effettivo raggiungimento dell’unità.
Fonti: Se vi interessa approfondire l’argomento della “Rinascenza Liutprandea” e del relativo periodo storico vi consiglio il libro: “Il futuro dei Longobardi”, a cura di Carlo Bertelli e Gian Pietro Brogiolo, Skira editore, Milano, 2000. Invece, se volete approfondire la tematica relativo al diritto longobardo vi consiglio “Le leggi dei Longobardi, storia, memorie e diritto di un popolo germanico, a cura di Claudio Azzara e Stefano Gasparri, Viella-Editrice La Storia, seconda edizione marzo 2005. Infine, per quanto riguarda più da vicino la storia del popolo longobardo, i miei riferimenti sono: Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Skira editore, Milano, 2017; Jorg Jarnut, Storia dei Longobardi, Edizione speciale per Il Giornale Giulio Einaudi editore S.p.a., Torino, 2002.