Nella Roma della seconda metà del VI secolo d.C., la città di marmo di Augusto, ricca e popolosa era solo un lontano ricordo. Se ci trovassimo lì, quello che vedremmo sarebbe una Roma degradata, spoglia e triste, sebbene rimanesse una delle città più importanti, se non la più rilevante, dell’Occidente. In ogni caso, da lontano, la fisionomia di Roma probabilmente ci sarebbe apparsa identica a quella di epoca imperiale, dal momento che i monumenti e gli edifici più imponenti erano ancora in piedi, come dei guardiani della storia passata dell’Urbe. Tuttavia, le strade e le piazze avevano ormai lasciato il posto alle coltivazioni e ai boschi, mentre le domus e le insule, molte in totale abbandono, erano quantomeno in forte stato di degrado e ricoperte di edera e muschio. La stessa situazione valeva per gli innumerevoli templi, statue e monumenti un tempo così vivi e magnifici, ma al tempo solo una malinconica testimonianza di un passato glorioso. Lo stesso Colosseo fu prima utilizzato come sepolcro e successivamente come castello. Nonostante tutto, anche in quelle condizioni, Roma doveva essere magica. Immaginate di passeggiare nei boschi, in cui erano ritornati numerosi animali e di scorgere tra la fitta vegetazione i resti di un tempio, di un’antica domus o di uno dei tanti acquedotti ormai inutilizzabili, dal momento che molti vennero distrutti durante la guerra greco-gotica. Per farci un’idea saremmo nella stessa situazione di Tyrion Lannister mentre naviga lungo le rive dell’antica Valyria. Infatti, saremmo stupiti da tanta bellezza perduta, immaginando come sarebbe stato vivere nella sua epoca d’oro. Sempre all’interno delle Mura aureliane, restaurate da Teodorico verso la fine del V secolo, vi era la basilica del Laterano, prima del periodo che stiamo analizzando fu un palazzo imperiale, per poi essere utilizzata come residenza del Vescovo di Roma. Se fossimo entrati nel palazzo avremmo notato un uomo calvo, di media statura, occhi neri e naso aquilino. Era il papa Gregorio Magno, colui che pose le basi del potere temporale dei papi su Roma. Nato nel 540 a Roma da una famiglia forse patrizia che diede alla città eterna una dozzina di Senatori e due Pontefici. Nel 573 divenne Praefectus Urbis, la carica civile più prestigiosa all’epoca, anche perché l’ultimo console di Roma fu Decio Paolino nel 534 d.C. Tuttavia, sebbene fosse autorizzato ad indossare il manto porpora e a girare su una carrozza trainata da quattro cavalli bianchi, non aveva un potere effettivo, in quanto il Prefetto Urbano era quasi solamente l’esecutore degli ordini che giungevano dal Laterano, ossia dal papa e dai suoi più stretti collaboratori. Scaduto il suo mandato si ritirò nel suo palazzo sul Celio, trasformato nel frattempo in convento e in cui trascorse tre anni di studio e rinunzia. Nel 580, papa Pelagio II inviò un’ambasciata a Costantinopoli, di cui faceva anche parte Gregorio, con lo scopo di chiedere aiuto contro i Longobardi, ma senza grandi risultati. Ritornò a Roma nel 585 e alla morte di Pelagio II venne acclamato suo successore. Gregorio Magno fu un papa più attento all’amministrazione civile che a quella religiosa e infatti tra i primi provvedimenti ci furono quelli relativi all’ingente patrimonio ecclesiastico, divenuto tale a seguito delle innumerevoli e cospicue donazioni dei fedeli, che resero il papa il più grande proprietario terriero della Penisola. Dopo di ciò, preso atto che i funzionari civili non erano più in grado di assolvere nel migliore dei modi le loro funzioni, le magistrature millenarie erano in decadenza tanto quanto i palazzi che le ospitavano. Decise, quindi, di esautorare l’amministrazione laica con delegati apostolici, come nel caso degli agenti fiscali sostituiti da Diaconi di sua nomina. Sfruttò il monopolio agrario come strumento per elargire al popolo il “panem”, mentre per quanto riguarda le “circenses” non ne erano più state organizzate dalle venationes di Teodorico nel 523 e dall’ultima corsa dei carri tenuta nel 549, durante il regno di Totila. Infatti, il giorno del suo compleanno Gregorio elargiva pubblicamente parte degli introiti ricavati dai suoi possedimenti. Ogni lunedì distribuiva grano, vino e legumi ai nobili decaduti, alle monache corrispondeva regolare stipendio e ai poveri e agli infermi faceva servire il pranzo a domicilio. Inoltre, gran parte delle energie Gregorio Magno le spese nell’aiutare le popolazioni colpite dal furore longobardo. Nondimeno, capì che doveva cercare una riappacificazione con il popolo invasore, sia perla sopravvivenza di Roma, sia per cercare di riportare la penisola in pace. Per tali motivazioni, strinse prima un accordo con il Duca di Spoleto Ariulfo, che in precedenza conquistò Napoli, il quale si impegnava a lasciare la città dietro un cospicuo pagamento di un tributo, ma il tutto venne stipulato all’insaputa del re dei Longobardi Agilulfo che nel 593 mosse il suo esercito contro Roma. Nonostante la recente restaurazione delle mura difensive, Gregorio sapeva che un eventuale assedio avrebbe fatto capitolare la sua città e il Lazio, perciò decise di ricorrere all’arma che più di tutte fece grande lo stato Pontificio, la negoziazione. Le suppliche al re ariano funzionarono, forse anche perché sapeva il rapporto che intercorreva fra il papa e sua moglie, la grande regina Teodolinda, oltre al fatto che sempre più Longobardi abbracciavano la dottrina cattolica. Per tali ragioni Agilulfo decise di venire meno alle sue ambizioni e lasciò il Lazio carico dell’oro di Gregorio Magno. Il trattato aprì la strada alla riappacificazione tra gli invasori e i Romani, ma mancava l’appoggio di Bisanzio che arrivò però nel 599 con il nuovo Esarca di Ravenna Callinico, succeduto a Romano che fu alquanto restio a venire a patti con i Longobardi. Come Gregorio, lo stesso Agilulfo comprese l’importanza di un buon rapporto con il papa, dal momento che in un Europa oramai convertita all’ortodossia, per evitare l’isolamento, il suo popolo si sarebbe dovuto convertire. La svolta arriverà con la nascita del figlio di Agilulfo e Teodolinda, Adaloaldo, il primo re longobardo di religione Cattolica. Il suo battesimo portò, nel giro di pochissimi anni, alla conversione di massa del suo popolo. A Gregorio Magno si deve anche la riforma della liturgia, dal momento che gli schemi semplici e solenni del rito romano sono frutto della sua opera, nonché la musica sacra e le sue celebri armonie, composte da lui stesso e sempre da lui dirette nel coro di San Pietro. Infine, introdusse un regime di rigorosa austerità in Laterano.
Nel momento più buio per Roma, uscita a pezzi dalla sanguinosa guerra greco-gotica e stretta nella morsa dei Longobardi, la città degli imperatori si apprestava a risorgere e diventare nuovamente ricca e potente, regalando al mondo nuovi monumenti e nuove opere artistiche invidiabili. Per tutto il Medioevo e non solo, sarà al centro dei giochi di potere del continente, per poi divenire nel 1871 capitale del Regno d’Italia.
Fonte: Indro Montanelli e Roberto Gervaso, L’Italia dei secoli bui, Milano, BUR Rizzoli 2021.