L’Impero romano non era solo un insieme di uomini e donne che si svegliavano, mangiavano la ientaculum, assimilabile alla nostra colazione, per poi andare a lavorare, fermarsi a metà giornata per il frugale prandium e alla sera, prima di coricarsi per dormire, consumare la coena. Infatti, come noi oggi rompiamo la routine quotidiana con vari passatempi e divertimenti, anche nell’antica Roma i nostri antenati, sebbene siano passati quasi duemila anni, praticavano all’incirca gli stessi svaghi.
Nella Roma tardo antica i ricchi amavano i fastosi banchetti e l’andare a caccia nelle loro lussuose residenze fuori città, mentre i più colti si dedicavano alla lettura di libri classici o alla scrittura. Va detto però, tranne rare eccezioni come quelle di Simmaco e Namaziano, gli aristocratici solitamente si limitavano alle satire di Giovenale. Inoltre, gli appartenenti alla classe aristocratica si concedevano anche delle piccole vacanze su imbarcazione riccamente dipinte e decorate, su cui solcavano i fiumi e i laghi del Lazio.
Nonostante ciò, patrizi e plebei, ricchi e poveri condividevano numerosi passatempi, come le corse dei carri, la vera passione dei Romani, dimostrabile anche dal fatto che il Circo Massimo poteva contenere fino a trecentomila persone, secondo alcuni fino a quasi quattrocentomila e rimase inattività fino alla VI secolo, quindi ancora in un periodo successivo al Colosseo, i cui ultimi spettacoli si tennero sotto il regno di Teodorico. A tal proposito si può citare il caso di Treviri, in cui la popolazione, dopo aver subito tre saccheggi devastanti a metà del V secolo, chiese all’imperatore il ripristino dei giochi nell’ippodromo. Lo stesso discorso valeva per gli spettacoli teatrali, anche se meno apprezzati rispetto ai secoli precedenti, quelli dei mimi, ma amavano anche il gioco dei dadi, i combattimenti fra galli, le bettole e ovviamente la grande passione per le bevute di vino, quest’ultime apprezzate oggi come ieri da molti ed indistintamente dalla classe sociale di appartenenza. Le terme, uno dei simboli della Roma antica, rimasero una meta prediletta per gli antichi Romani a fine giornata, sia per i ricchi e potenti che per il popolo. Inoltre, vi era anche uno stadio, lo stadio Domiziano che era destinato ai giochi atletici e che poteva contenere circa 30000 posti a sedere. Tuttavia, i Romani non apprezzarono mai troppo questo tipo di spettacoli, ritenuti troppo poco violenti e virili.
Nonostante quanto detto, è diffusa l’idea che la distrazione preferita dai Romani fossero i giochi nell’arena, in particolare i combattimenti fra gladiatori. In marito a ciò, è interessante sapere che Onorio in Occidente abolì i giochi tra gladiatori nel 404, mentre in Oriente vennero proibiti fin dal 326, sebbene le venationes continuavano ad essere svolte negli anfiteatri e quindi anche nel Colosseo. Le venationes erano giochi in cui venivano cacciati animali feroci ed esotici all’interno dell’arena e a volte venivano messi in scena spettacoli alquanto crudeli per la nostra visione del mondo, ma all’epoca era ovviamente diverso. Pensate che i giochi organizzati da Traiano, parliamo di circa tre secoli prima dell’epoca che stiamo trattando, videro l’uccisone di circa novemila animali. Nondimeno, va detto che nell’antica Roma vennero emanate leggi a favore della tutela di alcune specie di animali in via d’estinzione, come gli elefanti della Libia o gli Ippopotami del Nilo e in un certo senso anche per il popolo dei Goti. Infatti, Valente giustificò l’accordo stretto con i Goti, sostenendo che i Romani non potevano celebrarsi e lodarsi di tutelare le specie poc’anzi menzionate e poi sterminare un intero popolo. Detto ciò, degni di menzione furono i giochi organizzati nell’anfiteatro Flavio nel 401 dal pretore Quinto Fabio Memmio Simmaco, figlio del più celebre Quinto Aurelio Simmaco, ma che costarono ben 2000 libbre d’oro. Nell’occasione Simmaco fece anche restaurare parzialmente il Colosseo, per poi farvi arrivare segugi, cavalli dalla penisola iberica, coccodrilli, orsi, leopardi e altri animali dall’africa come le antilopi. Il suo intento era dare ai Romani qualcosa che avessero ricordato per il resto dei loro giorni e con l’ambizione di riportarli agli antichi fasti. Inoltre, chiese l’autorizzazione a Stlicone di poter allestire scontri fra gladiatori e battaglia navali. Tuttavia, capitarono alcuni problemi, come il fatto che i prigionieri Sassoni, che sarebbero dovuti essere una delle attrazioni principali in qualità di gladiatori, si suicidarono piuttosto che combattere nell’arena e ciò costrinse Simmaco a ripiegare su volontari. Non solo, anche i coccodrilli non sopravvissero al viaggio. All’epoca Quinto Fabio Memmio Simmaco aveva all’incirca un’età tra i diciassette o diciotto anni, quindi molto giovane per ricoprire una carica come la pretura, ma ciò era possibile dal fatto che in quel periodo era diffusa la compravendita delle cariche politiche ed infatti fu questore all’età di soli dieci anni. Tale fenomeno non era assente in Oriente, ma a partire dal VI secolo la compravendita di cariche pubbliche raggiunse a Costantinopoli livelli preoccupanti. Infatti, i padri compravano incarichi su incarichi ai figli ancora giovanissimi, talvolta indebitandosi cospicuamente. La corruzione era assai elevata, tanto che comprarsi un ruolo istituzionale diventò la più assoluta normalità, mentre faceva scalpore chi amministrava secondo le leggi e saliva le gerarchie per merito. Dal momento che oggi scriviamo a proposito dei divertimenti degli antichi Romani, bisogna sottolineare quanto fosse apprezzata la magia. A tal proposito è interessante sapere che il duca Cereale riuscì a rendere un formidabile e rinomato reparto di cavalieri in ottimi arcieri appiedati, dal momento che vendette i loro cavalli e si intascò il ricavato. Non solo, il governatore della lidia Eutalio venne multato dal prefetto del pretorio Rufino per i soprusi compiuti a danno della popolazione locale e perciò questi mandò dei suoi fidati soldati a riscuotere la multa. Nondimeno, Eutalio riuscì a scambiare la borsa piena di monete d’oro, contenete quanto avrebbe dovuto pagare allo stato, con una riempita di monete di bronzo. L’evento suscitò molta ilarità a corte, tanto che Eutalio venne addirittura promosso in una provincia più importante. I due esempi dimostrano il livello di corruzione e avidità presente nell’Impero, forse una delle maggiori cause che porteranno alla sua caduta. Scrittori come Ammiano Marcellino e Namaziano, ma anche Senesio di Cirene, confermano il triste quadro delle perversioni e dei vizi dei Romani, specie quelli più ricchi e potenti che provocarono un forte senso di malcontento e desolazione nel popolo vessato, curandosi solo dei propri interessi economici, dei loro piaceri e di come divertirsi, senza pensare al benessere di Roma e del suo impero sempre più vicino al collasso.
Infine, per quanto riguarda la sfera della sessualità bisogna sapere che nell’epoca tarda antica il sesso non era più considerato un dono concesso da Venere e di cui goderne il più possibili, ma era oramai concepito specialmente come atto di procreazione. Tale morale si era riaffermata intorno alla metà del III secolo d.C., ho usato il termine “riaffermata” in quanto in fino al II secolo a.C. la società romana era molto rigida e legata alle tradizioni e concepiva l'intimità come qualcosa di molto riservato, ma ciò venne meno quando Roma si aprì al mondo greco. In concomitanza con l’aumento della libertà sessuale anche la donna romana acquisì una libertà di gran lunga maggiore, dal momento che divennero economicamente più indipendente ed acquisirono il diritto di divorziare. Ritornando a noi, la nuova moralità si era riaffermata con il sopraggiungere delle invasioni barbariche e dell’instabilità politica e su cui il clero cristiano troverà un utile strumento con cui controllare le anime dei credenti.
Fonti: La vita quotidiana alla fine del mondo antico, Giorgio Ravegnani, Il Mulino, 2015, Bologna; Rutilio Namaziano, De Redito Suo; Una Giornata nell’Antica Roma, Alberto Angela, Mondadori libri S.p.a., 2021,Milano.