Claudio Rutilio Namaziano

Ritratto fittizio di Claudio Rutilio Namaziano

Claudio Rutilio Namaziano, il cui nome ai più sarà sconosciuto, fu un politico romano, nonché ultimo poeta "classico" dell'Antica Roma. Era un aristocratico pagano, la cui data di nascita è sconosciuta, ma è plausibile sia nato intorno alla metà del IV secolo d.C., poiché  morì non più giovane dopo il 415, ossia l'anno del suo ritorno nella sua terra natia: la Gallia Narbonese. Fu Prefetto in Toscana (Tuscia), come suo padre, in Umbria e Prefectus Urbi di Roma nel 414. Come accennato, scrisse l'ultima opera di rilievo della Roma imperiale, ossia il De Reditu Suo, nonché l'unico elaborato certamente attribuibile a lui. Il poema racconta proprio il viaggio che l'autore compie dalla sua amata Roma a Tolosa. Namaziano decise di ritornare nelle sue terre, dove possedeva numerose proprietà agricole, a seguito dalle razzie e dalla brutalità compiute dai Vandali e dai Visigoti. Il primo libro dell'opera fu scoperto nel 1493 presso il celebre monastero di san Colomabano a Bobbio, ma purtroppo è giunto a noi incompleto, dal momento che si interrompe con il suo arrivo nella città di Luni in Liguria. Tuttavia, nel 1973 vennero ritrovati alcuni frammenti appartenenti al secondo libro che descrivono la strada attraverso la Liguria, fino all'arrivo in Gallia.
Il poema tratta dunque il tortuoso viaggio intrapreso dal poeta alla volta dei suoi possedimenti in Gallia, devastati dagli invasori Vandali. Come già detto in precedenza, la storia inizia con la partenza di Rutilio da Roma, di cui descrive lo stato di decadenza tanto materiale quanto morale, concentrandosi sia sulla classe senatoria e benestante, sia su quella subalterna. Per esempio, l'imperatore Onorio è percepito come assorto nelle proprie faccende private e del tutto distaccato dalla vita pubblica, come se ignorasse la dura realtà che Roma stava fronteggiando. I senatori, invece, si dedicavano alla ricerca sempre più sfrenata di ricchezze e piaceri. Infine, dall'altro lato della medaglia, vi è un popolo romano ormai stremato e quasi soggiogato dalla devastazione germanica, specialmente ad opera dei Goti, che a partire dal sacco di Alarico hanno fatto sempre più pressione su Roma ed i suoi domini, nonché dai soprusi dei più ricchi e potenti. In merito a ciò, Rutilio attacca duramente il generale Stilicone reo di aver permesso ai barbari di giungere e rimanere nella penisola. Inoltre, viene descritto molto bene il clima del periodo che sembra presagire una catastrofe imminente. Le strade non sono più sicure e in stato di abbandono come alcune cittadine e villaggi. Alla descrizione della decadenza si oppongono ricordi appassionati, ma lontani, della grandezza dell'Urbe che un tempo rese gli uomini cittadini e il mondo conosciuto come un'unica grande Roma. Il viaggio si sposta dunque nella periferia romana verso la Tuscia, dove Rutilio è costretto ad imbarcarsi a causa dell'inagibilità delle strade e dei ponti, specialmente per via del degrado della via Aurelia. Il percorso, quindi, prosegue per mare fino in Liguria, dove il racconto si interrompe, fatta eccezione per i sopracitati e lacunosi versi scoperti nel Novecento.

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