Belisario, Totila e il Crimine Contro l'Umanità

Foto delle rovine di Roma

L'espressione "crimine contro l'umanità" è stata usata per la prima volta, con un'accezione prettamente giuridica, nel 1915 in merito a quello che passerà tristemente alla storia come genocidio armeno. Successivamente, questo termine comparve nel IV capo d'accusa del processo di Norimberga contro i gerarchi nazisti, sebbene non ci fossero convenzioni internazionale che contemplassero esplicitamente questa locuzione. Nonostante ciò, la "Società delle Nazioni" (istituzione che precedette l'ONU), aveva stabilito una serie di norme su crimini che non si sarebbero mai dovuti compiere (norme che la Germania non aveva sottoscritto ed è su ciò che si baserà la difesa degli imputati). Tuttavia, l'espressione sopracitata fu usata da Belisario in una lettera scritta nel 546 ed indirizzata al re degli Ostrogoti Totila. Belisario, soprannominato il "generalissimo", fu a capo della spedizione bizantina in Italia nell'ambito della guerra greco-gotica, combattuta tra il 535 e il 553. Nel messaggio venivano elencate le ragioni per cui Totila non avrebbe dovuto incendiare e distruggere Roma, conquistata dallo stesso poco tempo prima dopo un lungo assedio in cui la popolazione venne più che decimata. Secondo Procopio rimasero nell'antica capitale cinquecento anime, le quali sembravano più dei fantasmi che delle persone, sebbene solo cento anni prima ne vivessero ancora più di mezzo milione. Dopo aver letto l'epistola più volte, il re si convinse e decise di risparmiare la città eterna, anche se essa, come tutta la penisola, ne uscì distrutta, depredata e spopolata.
Di seguito parte della lettera di Belisario indirizzata a Totila.
"Come il fornir una città di nuovi ornamenti è preoccupazione di uomini assennati e istruiti del vivere civile, così distruggere gli ornamenti che vi sono è cosa da stolti che non si vergognano di lasciare al tempo avvenire una simile prova del loro essere.
Roma fra tutte le città, quante ve n'ha sotto il sole, è riconosciuta la più grande e magnifica; questo perchè, non venne edificata per opera dell'ingegno di un solo uomo, né per forza di breve tempo divenne essa così grande e così bella, ma bensì tale la fecero molti imperatori, grandi assemblee di uomini sommi tramite un lungo andar di tempi, con quante ingenti ricchezze questi poterono, chiamarono a raccolta artisti da tutta la terra, in modo tale che, poco a poco, edificando quella città che tu vedi, la lasciarono ai posteri qual monumento del valore di tutti.
L'inveire contro Roma dovrà parere dunque grande ingiuria agli uomini di ogni tempo in quanto agli avi verrebbe tolto il ricordo della loro virtù ed ai posteri lo spettacolo della loro opera."
Stando così le cose tu devi riflettere sul fatto che dovrà avvenire necessariamente uno dei due casi:
che tu in questa guerra sia vinto dall'Imperatore o che tu lo vinca.
Nel caso in cui tu sia vincitore, se distruggi Roma, non avrai rovinato la città di un altro, oh valente uomo, ma la tua città; conservandola invece sarai ricco del più bello tra tutti i possedimenti.
Nel caso tu abbia la peggio, preservando Roma, una grande grazia serberai per te di fronte al vincitore; se tu la distruggerai invece non rimarrà alcun motivo di umanità nei confronti della tua figura, oltre al fatto che fare ciò non ti sarà di alcun giovamento.

La lettera è tratta da: Procopio; La Guerra Gotica; ed. Garzanti; Milano; 2007.


Mosaico che ritrae Belisario
Ritratto fantasioso di Totila

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